Ghost in the shell, un live action cyberpunk pieno di glitch. Recensione completa

Ghost in the shell non supera la prova cinematografica. La pellicola di Rupert Sanders, sublime dal punto di vista estetico, risulta molto carente da quello emotivo.

Ghost in the shell recensione
Ghost in the shell

Dopo tre manga, due film d’animazione, tre serie televisive, due special e tre videogiochi, la trama trita e ritrita di Ghost in the shell non poteva che concludersi con un bel live action con Scarlett Johansson protagonista! ..o forse no. Tralasciando la controversia sul whitewashing, scoppiata ormai più di un anno fa, l’attrice non sembra comunque essere adatta al personaggio di Motoko Kusanagi (Mira Killian), ma in generale ai ruoli da pseudo super eroina che negli ultimi anni i registi americani sentono l’esigenza di farle calzare, probabilmente per ragioni di botteghino.

C’è da dire, però, che se Ghost in the shell si è rivelato una pellicola vacillante tra il monotono e il prevedibile, senza mai accennare a miglioramenti di sorta, non è tutta colpa di Scarlett: la produzione del film, infatti, è stata affidata a Rupert Sanders, sicuramente non uno dei registi migliori d’America. Il londinese si era fatto già notare con la produzione di “Biancaneve e il cacciatore”, pellicola aspramente colpita dalla critica, che valse addirittura il Razzie Award come Peggior attrice protagonista alla protagonista Kristen Stewart. Dopo una prova del genere, come si può avere il coraggio di curare un media franchise di tale calibro? Noi non siamo riusciti ancora a risponderci.

Ghost in the shell recensione
Scarlett Johansson in Ghost in the shell

Degli ottimi effetti speciali e un buon montaggio sonoro fanno da padroni in Ghost in the shell, rendendolo un film papabile per gli Oscar del 2018 nelle specifiche categorie. A parte questo, ahinoi, nulla di più: pessima recitazione, intreccio banale, nessun colpo di scena e gelo emotivo. Queste caratteristiche andrebbero bene per un film della Marvel, ma sicuramente non per una pellicola incentrata sul rapporto cyborg – coscienza.

Ghost in the shell si basa su un groviglio di frasi minime, comandi elettronici, nomi di robot, una mescolanza priva di una qualche profondità che un film del genere, di regola, dovrebbe possedere. La recitazione, sopratutto quella della Johansson, è davvero dozzinale e raggiunge il suo apice di mediocrità durante l’incontro tra Mira e la madre. Fortunatamente, nelle scene in cui compare Juliette Binoche (Dottoressa Ouelet), attrice premio Oscar per Il paziente inglese, la parigina riesce a trasmettere un accenno di umanità, interrompendo il gelo e la sterilità della pellicola.

La recensione è breve, ma perché fondamentalmente non c’è nulla da dire

 

Con Ghost in the Shell siamo molto lontani, ad esempio, da ciò che Alex Garland era riuscito a ottenere nel 2015 con il suo “Ex machina”: in quel caso, infatti, una trama ricca d’angoscia consentiva allo spettatore di immedesimarsi sia nell’attrazione provata dagli esseri umani nei confronti dei robot, che nel desiderio delle macchina di essere trattati come persone reali, avendo sviluppato un qualche tipo di coscienza.

Per contro, Ghost in the shell sembra essere molto vicino a Universal Soldier, pellicola del 1992 con protagonista Jean-Claude Van Damme nel ruolo di Luc Deveraux, un militare americano impegnato nella guerra in Vietnam, che viene trasformato in GR-44, un soldato antiterrorismo invincibile ma privato dei propri ricordi. E teniamo a chiarire che il paragone non è un complimento.

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La geisha robot di Ghost in the shell
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